sabato 9 febbraio 2013

Recensione “Seventh Son Of A Seventh Son” degli Iron Maiden, a cura di Davide Cangiano



Nel 1988, dopo lo sperimentale “Somewhere In Time” del 1986, gli Iron Maiden pubblicano “Seventh Son Of A Seventh Son”. L’album presenta, come il suo predecessore, un uso ben curato delle tastiere, ma quello che va notato in tale album è che ha, per la prima volta nella storia dei Maiden, un concept curato con una trama, inventata dagli stessi Maiden, che parla del settimo figlio di un settimo figlio, che è conteso dalle forze del bene e quelle del male.

Formazione

Bruce Dickinson (Voce)
Dave Murray (Chitarre)
Adrian Smith (Chitarre, Cori e Sintetizzatori)
Steve Harris (Basso, Cori e Sintetizzatori)
Nicko McBrain (Batteria)

Altri musicisti:
Micheal Kenney (Tastiere)

Tracklist 

1. Moonchild 
2. Infinite Dreams
3. Can I Play With Madness
4. The Evil That Man Do 
5. Seventh Son Of A Seventh Son
6. The Prophecy
7. The Clairvoyant
8. Only The Good Die Young

STEP BY STEP

L’album parte con “Moonchild”, che ha un’intro acustica cantata da Dickinson e accompagnata dalla chitarra di Murray. Essa poi si apre con un “fade in” di chitarra accompagnato da un riff synth. Il ritmo della canzone è incalzante e lo sarà per tutta la canzone, con un bridge avvolgente e con riff e assoli davvero ottimi. Il testo è anch’esso avvolgente ed epico. Il pezzo termina con lo stesso riff synth che si sente all’inizio.

La seguente è “Infinite Dreams” che varia sui cambi di tempo e dove le accelerazioni sono veramente epiche. In questo pezzo Harris non solo fa un eccellente lavoro al basso ma mette su un buon testo che viene eseguito magistralmente da Dickinson, dando un atmosfera sognante assieme alle chitarre.

Can I Play With Madness?” è il pezzo meno complicato dell’album, davvero semplice e immediato, buono come primo singolo. Qui è il ritornello a fare da protagonista che forse è uno dei più famosi. I synth nel ritornello sono ottimi e si mischiano perfettamente con il suono delle chitarre e della voce di Bruce.

The Evil That Men Do” anch’essa fu scelta come singolo e, differentemente dalla precedente, ha un ritmo davvero veloce e strutture musicali davvero complesse ma immediate. Il testo si ispira al discorso che fa Marco Antonio ai Romani dopo la morte di Giulio Cesare nel dramma di Shakespeare, Julius Caesar.

La title-track, “Seventh Son Of A Seventh Son”, è uno dei momenti più epici dell’album, le due asce prima lavorano su ritmica e riff accompagnando benissimo il basso e la batteria, poi terminano e danno scena a un giro di basso davvero complesso e con metriche dispari, e infine si aprono dando vita ad accelerazioni ed assoli mozzafiato. La canzone ha un testo davvero enigmatico e diabolico che viene interpretato perfettamente da Dickinson.

L’album continua con la poco conosciuta “The Prophecy” che prima si apre dolcemente con le due chitarre, e poi da vita a un pezzo dall’atmosfera medievaleggiante con un tre quarti superbo e con ancora un’ottima prestazione di Dickinson. Segnalo anche l’ottima outro acustica, sempre un po’ medievaleggiante, da parte di Smith e Murray che sembrano essere giunti da un altro pianeta.

Nel terzo singolo “The Clairvoyant” si nota con quanta passione, sincronizzazione e coerenza il gruppo suona su uno dei riff più belli di basso, partorito da Harris, presente nell’Heavy Metal. Ottimi i cambi di tempo e di tonalità e ottimo Dickinson ad adeguarsi a tali, interpretando alla grande il testo scritto da Harris. L’assolo, eseguito al centro della canzone, è uno dei più complicati che Murray potesse suonare.
                                                                                                                           
Only The Good Die Young” è la meno conosciuta assieme a “The Prophecy” (poiché mai sono state inserite in “best of” e suonate dal vivo, forse fatta eccezione del tour riguardante l’album in questione); il pezzo presenta la tipica struttura dei Maiden: le accelerazioni, i riff e gli assoli. E’ presente anche un piccolo assolo di basso di Harris centralmente. La prestazione è magistrale anche qui da parte di Dickinson. Il pezzo finisce con la stessa intro acustica che c’è in “Moonchild”.

Commento Finale

In conclusione il settimo lavoro dei Maiden in studio è uno dei prototipi del Progressive Metal, visti i vari cambi di tempo nelle ritmiche, ma rimane comunque un capolavoro dell'Heavy Metal. Non c’è niente che non va, sembra essere un qualcosa di perfetto, che purtroppo non si ripeterà in futuro, vista la mezza-delusione del seguente “No Prayer For The Dying”, ma i Maiden sapranno rifarsi, anche se non riusciranno a dar vita ad album simili ed allo stesso livello.

Voto Opera
9/10

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